La condivisione delle conoscenze come strumento di attuazione degli SDGs

L’evento nazionale sul Goal 17, nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile, ha preso in esame come best practice il caso del contrasto alla pandemia da Covid-19 e ha raccontato l’esempio virtuoso dell’Africa. 6/10/20

Si è svolto lunedì 5 ottobre, in diretta streaming dall’Auditorium Macro di Roma con ospiti in presenza e in collegamento, l’evento “Condividere le conoscenze per l’accesso alla scienza, alla tecnologia, all’innovazione per il benessere delle persone e del pianeta”, organizzato dal Gruppo di lavoro dell’ASviS sul Goal 17 “Partnership per gli Obiettivi”, coordinato dall’Associazione delle ong italiane cooperazione e solidarietà internazionale (Aoi), e con il contributo dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics).

Gemma Arpaia, coordinatrice del Gruppo di lavoro dell’ASviS sul Goal 17, ha aperto la giornata introducendo i temi centrali dell’evento: il primo panel focalizzato sulle piattaforme di conoscenze e best practice condivise a livello globale sui vaccini nella lotta al Sars-Cov-2; il secondo incentrato sull’esempio di resilienza che ha dato l’Africa proprio in risposta alla pandemia.

A seguire ha preso la parola, in qualità di moderatore, Luca Maestripieri, direttore Aics, il quale ha ringraziato l’ASviS per la continuativa e proficua collaborazione, definendo l’Alleanza quale “partner naturale” dell’Agenzia nel rappresentare e testimoniare in concreto l’impegno del Paese nella realizzazione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Maestripieri ha spiegato come la pandemia abbia costretto anche l’Aics a rivedere azioni, obiettivi e piani operativi, ma come, al tempo stesso, si sia rivelata anche una grande occasione di riflessione per capire che le sfide globali richiedono sforzi comuni e partenariati forti. Ha dunque aperto ufficialmente i lavori invitando gli ospiti a esaminare lo stato dell’arte nell’azione per affrontare la sfida di contenere il virus a livello globale attraverso una messa a fattor comune delle conoscenze disponibili.

Enrico Giovannini, portavoce dell’ASviS, ha aperto il suo intervento ringraziando la vice ministra per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale Emanuela Del Re, per aver sostenuto l’idea di portare il Festival in giro per il mondo coinvolgendo le ambasciate e le Agenzie italiane di cooperazione locali, e ha ribadito come la collaborazione con il Maeci sia straordinariamente importante e tempestiva proprio per le sfide attuali da affrontare. Giovannini ha ricordato poi che il Festival si concluderà l’8 ottobre proprio alla Farnesina, occasione in cui sarà presentato il Rapporto ASviS 2020 sullo stato di avanzamento dell’Italia rispetto agli Obiettivi di sviluppo sostenibile.

Il portavoce si è soffermato sul ruolo del multilateralismo, evidenziando alcuni risultati positivi come la lotta all’ebola o alla poliomielite, che è stato possibile raggiungere solo grazie all’impegno comune di tanti Paesi. Ha sottolineato anche l’attuale contributo dell’Aics e dell’Italia allo sforzo europeo di far avere i vaccini a tutti e non solo ad alcuni, superando le difficoltà economiche con un grande senso di responsabilità. Anche rispetto alla finanza sostenibile, le imprese italiane stanno accentuando la loro azione in ottica di sostenibilità, fattori incoraggianti che quindi devono accelerare la transizione verso investimenti sostenibili. Tra le misure adottabili, ci sarebbe l’imposizione di una carbon tax per chi esporta verso l’Europa prodotti che non rispettano gli standard non solo ambientali ma anche sociali di sostenibilità. E proprio in relazione alla scelta europea di mettere l’Agenda 2030 al centro delle politiche, Giovannini ha posto l’accento sulla necessità che queste siano improntate ad un principio di coerenza e che tale approccio liberi risorse anche per la cooperazione italiana tanto impegnata in Africa, affinché il continente imbocchi un’accelerazione nella giusta direzione, scongiurando conseguenze di difficile gestione in termini di nuovi ingenti flussi migratori. In questo lo sforzo e la cultura della cooperazione è cruciale. In occasione della presidenza italiana del G20, l’ASviS metterà sul tavolo la proposta della cancellazione del debito per i Paesi più poveri.

Ranieri Guerra, vice direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ha parlato della situazione globale dei contagi che attualmente ammontano a circa 35 milioni, con 235 zone del mondo che riportano casi, fattore che consente di comprendere come sta andando l’epidemia e come supportare i Paesi meno avanzati. Proprio per rispondere a tale sfida con un’azione comune, l’Oms ha chiamato a raccolta tutte le agenzie Onu, le strutture di ricerca, le università, le organizzazioni non governative, ma anche i privati, dando vita all’Access to covid tool (Act) Accelerator, un’iniziativa globale con un programma stimato intorno ai 31 miliardi di dollari per mettere a disposizione di tutti i Paesi fondi per la diagnostica (6 miliardi), per il vaccino (18 miliardi) e per le cure (7,5 miliardi).  Al momento ci sono 853 test in corso, 750 di questi sono stati già commercializzati, mentre 20 milioni di test rapidi sono stati già inviati dall’Oms. Molte risorse sono state però finora disperse a causa di trial non attendibili pertanto, in un’ottica di partnership, sarebbe opportuno concentrare le risorse con una partecipazione più estesa. La componente vaccini è quella attualmente sotto i riflettori, con una quarantina di candidati in fase clinica, e altri 150 in fase preclinica. Di questi, tre probabilmente andranno già a buon fine entro l’anno. Su questo fronte, Gavi (Global alliance for vaccine), Cepi (Coalition for epidemic preparedness innovations) e l’Oms sono in prima fila. Accanto a tutto ciò, c’è un quarto pilastro che è quello del rinforzo del sistema sanitario su cui sono impegnate la Banca mondiale e il Fondo globale, ma che richiederebbe un monitoraggio indipendente sull’effettivo uso dei fondi destinati ai Paesi meno sviluppati. Allo stato attuale, 160 Paesi hanno aderito all’Act e, tra questi, l’Italia che si è spesa molto sia dal punto di vista politico che economico, affermandosi come un partner fondamentale per il multilateralismo.

Stefano Vella, professore di Salute globale dell’università Cattolica, ha riportato l’esempio della lotta all’Hiv, contesto in cui il multilateralismo ha funzionato molto bene, coronato dalla nascita nel 2000 del Global Fund, il fondo globale che si occupa di procurement e di sistemi sanitari per malattie come Aids, malaria e tubercolosi, ma che in questa fase è molto impegnato anche sul Covid-19 e sui diagnostici, cruciali per tracciare e isolare il virus fino a quando non sarà disponibile il vaccino. Negli ultimi anni si è però affievolito il multilateralismo perché i fondi destinati al Global fund sono diminuiti e l’impegno sulle altre malattie è stato rallentato dall’insorgere del covid.  

Il vaccino che verrà dovrà essere per tutti, non solo per una considerazione etica ma anche pratica perché l’epidemia è globale. L’accesso globale ai vaccini è un tema affrontato dall’Oms e da tantissimi Paesi, ma la lezione più importante è che il mondo ha bisogno di un bagno di umiltà e di prepararsi alle prossime pandemie, investendo sulla preparedness.

Stefania Burbo, coordinatrice del Network Italiano Salute Globale, ha illustrato il ruolo delle organizzazioni della società civile che operano in senso trasversale ma partendo dal focus salute nei Paesi a risorse limitate. In ottica di salute pubblica e dell’importanza della coerenza delle politiche, la pandemia ha dimostrato che per dare una risposta efficace è fondamentale avere un approccio interdipendente. Il Covid potrebbe portare alla povertà nei prossimi anni 71 milioni di persone, si stima fino a 100 milioni tra Africa e Asia meridionale. Ci sono degli impatti indiretti sulle altre malattie come malaria, aids, tubercolosi che rischiano di provocare decessi esponenziali; peggiori condizioni economiche sociali, acuite disuguaglianze di genere, perché il lockdown confina donne e ragazze con violenze domestiche. Quindi il covid ha acuito delle criticità già presenti, ma ha creato anche delle opportunità di collaborazione tra le organizzazioni stesse della società civile, istituzioni, università e imprese. Si è rafforzata la cooperazione con le agenzie Onu, con i ministeri della salute dei vari Paesi e con i rispettivi sistemi sanitari locali o centri di salute rurali, senza considerare il rapporto con le università e gli ospedali a livello europeo per gli aspetti di validazione tecnica delle buone pratiche. Un esempio su tutti è quello delle ong bresciane che hanno siglato un accordo con l’azienda, anch’essa bresciana, che durante la pandemia ha prodotto le maschere in 3d per la respirazione meccanica, per poi trasferire nei Paesi a risorse limitate questi dispositivi mettendoli a disposizione dei sistemi sanitari nazionali gratuitamente. Coinvolgere le comunità fa sì che i sistemi sanitari siano più resilienti. Nei Paesi in via di sviluppo non c’è infatti solo un problema di accesso alle cure, ma anche di continuità delle cure dovuto spesso ad uno stigma sociale. È importante che ci sia il coinvolgimento delle comunità anche nella fase dello sviluppo, applicazione e monitoraggio delle politiche in qualità di rights holders e non soltanto di stakeholders. La pandemia ha messo in evidenza queste criticità.

Nicoletta Luppi, presidente e amministratore delegato Msd Italia, ha esordito ricordando come già nel 2019, nell’elencare le minacce per la salute, l’Oms aveva messo in guardia dal rischio di una pandemia. Ha poi riportato l’esperienza di Merck (la multinazionale di cui fa parte Msd Italia) nella produzione di vaccini che hanno avuto un impatto cruciale nella riduzione della mortalità come nel caso dell’ebola. Il vaccino è stato un game changer, ma dietro il successo dell’ebola c’è anche un forte partenariato che si è speso per renderlo accessibile a tutti. Le partnership non possono essere di successo se non sono coinvolte anche le comunità locali e non riescono a far dialogare parti con interessi divergenti.  Nel contrasto al Covid-19, come già in precedenza, Merck è stata al fianco di tanti governi sulla salute richiamando la necessità di una soluzione globale e di un accesso universale al vaccino. Su questo aspetto oggi anche tra le aziende farmaceutiche c’è molta collaborazione.

Emanuela Del Re, vice ministra per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale, ha evidenziato il lavoro di partnership dell’evento stesso, che ha messo in rete tanti soggetti impegnati nella stessa direzione. Ha proseguito ponendo l’accento sul multilateralismo: “è vero che c’è una crisi del multilateralismo, ma al tempo stesso è anche un momento di rilancio, perché mai come ora si è parlato di questo e si sono messi insieme enti e soggetti molto diversi tra loro. Oggi si parla di partenariati davvero globali. L’Italia ancora una volta è un Paese estremamente attivo su questo, che ha messo subito in evidenza la necessità di un vaccino per tutti, questo è diventato una bandiera per noi” - ha continuato la vice ministra.  Sono azioni che puntano a cambiare la mentalità e a porre le basi di un nuovo dialogo all’interno del G7 ma anche del G20. L’Italia contribuisce anche con strumenti finanziari, attestandosi come sesto donatore per l’Alleanza Gavi e il nono per il Fondo Globale, ma ha anche contribuito alla realizzazione dell’Act accelerator e annunciato 400 milioni di euro per la cooperazione internazionale.

A chiusura del primo panel, è arrivata una domanda dal pubblico circa le prospettive sul Fondo Globale e la vice ministra Del Re ha ribadito l’impegno dell’Italia sullo stanziamento di ulteriori fondi in un’ottica di continuità, mentre Ranieri Guerra ha ricordato come, rispetto al finanziamento del Fondo Globale, il partenariato con il privato, a parte le grandi filantropie, non è stato ancora esplorato. Il fatto stesso che le aziende produttive non entrino in competizione ma che operino in collaborazione è un elemento cruciale che può colmare via via questo gap e dare sempre più spazio a investitori reali. Rispetto alla partnership con i soggetti privati, la vice ministra ha infine ricordato che l’Italia, con la legge 125 del 2014, ha riconosciuto loro un ruolo di primaria importanza nel contesto della cooperazione allo sviluppo.

Il secondo panel è stato aperto e moderato da Emilio Ciarlo, direttore delle Relazioni istituzionali e comunicazione dell’Aics, il quale ha introdotto il tema della “cooperazione circolare” ovvero dell’approccio della cooperazione che tende a replicare in Italia le buone pratiche realizzate nei Paesi in via di sviluppo, come testimoniato dall’esperienza di Emergency, attiva in Africa, a Bergamo.

Rossella Miccio, presidente di Emergency, ha illustrato come l’Africa si sia dimostrata molto più pronta ad affrontare la pandemia di quanto si potesse immaginare, grazie ad un sistema di governance virtuoso messo in atto all’interno di territori anche molto fragili. Rimane però bassissima la capacità nel continente di fare diagnosi, quindi lo scarso numero di contagi potrebbe essere conseguenza di tale fattore. Emergency, di fronte allo scoppio della pandemia, a febbraio si è subito attivata per approvvigionare i propri ospedali con il materiale necessario per poter continuare a garantire le cure in vista di una chiusura dei confini. Questo obiettivo ha fatto si che si sviluppasse una forte partnership con gli attori locali e non solo per la risposta al Covid. Allo stesso modo Emergency ha trasferito anche in Italia la propria esperienza, contribuendo alla realizzazione di un ospedale da campo con terapia intensiva così come fatto in precedenza in Sierra Leone per l’ebola. Il rapporto con il territorio si è dimostrato fondamentale, anche per garantire la messa in sicurezza delle fasce più vulnerabili.

Giovanni Carbone, professore di Scienza politica (università di Milano) e ricercatore Ispi, sempre parlando di Africa ha evidenziato come, a dispetto delle previsioni, la situazione nel continente non sembra essere così preoccupante. All’inizio della pandemia, si prospettava un numero di 150mila morti, ad oggi sono 25mila ufficialmente registrati, anche se non è chiaro se il virus non è stato rilevato o se è stato effettivamente contenuto nella diffusione. Tanti Paesi hanno avuto un vantaggio temporale perché il virus è arrivato dopo. La minore esposizione può essere dovuta a più potenziali fattori: la popolazione giovane, dal momento che solo il 2% ha oltre 70 anni, la scarsa densità media di popolazione, la mobilità molto limitata, aspetti climatici, maggiore protezione immunitaria ma anche maggiore esperienza nella lotta alle epidemia. L’impatto sul sistema ospedaliero è stato comunque molto forte su sistemi sanitari già fragili, in cui il rischio è che si dirottino troppe risorse nella lotta al Covid, distraendo fondi dalla lotta alla malaria e altre malattie più letali. Il contraccolpo indiretto sulle economie di questi Paesi è altrettanto duro a causa del blocco dei trasporti aerei e del turismo, del crollo delle rimesse della diaspora, della fuga di capitali, del calo degli investimenti esteri. A questi si aggiungono il blocco delle attività interne a causa del lockdown. Dunque l’Africa si avvia verso una recessione dopo 25 anni di crescita. C’è da chiedersi se questa crisi stia aprendo delle finestre di opportunità per sviluppi virtuosi.

Vincenzo Racalbuto, direttore Aics a Khartoum, ha raccontato come in Sudan, per incapacità di approvvigionamento di materiali durante la pandemia, circa la metà degli ospedali del Paese ha chiuso, mentre la restante parte ha interrotto le attività. Il secondo impatto c’è stato sull’economia con una riduzione delle rimesse delle diaspore sudanesi da 3 milioni di dollari l’anno a soli 500 milioni del 2020. Questo ha provocato un aumento del livello di povertà sia in qualità che in quantità, e se non è facile intervenire nel breve termine sulla povertà, nell’immediato futuro è necessario intervenire da un punto di vista sanitario garantendo agli ospedali i materiali necessari per la diagnostica e le cure. A tal fine servirebbe una centrale di procurement internazionale capace di rifornire anche altri Paesi africani limitrofi.

Emanuela Del Re, prendendo nuovamente la parola, ha sottolineato come rispetto all’Africa ci sia un momento di impulso e di propulsione e ha ricordato come, in collaborazione con la commissaria europea per i Partenariati, Jutta Urpilaien, siano stati raccolti 36 miliardi da destinare alla creazione di partenariati bidirezionali con i Paesi africani nell’ottica di uno sviluppo condiviso e non solo di supporto emergenziale.

In occasione di un secondo giro di tavolo, Giovanni Carbone ha proseguito nell’analisi economica del continente africano, ponendo l’accento sulle prospettiva di ripresa che l’attendono dopo il duro colpo assestato dalla pandemia al trend di crescita costante degli ultimi venti anni. La crisi però può aprire anche prospettive nuove capaci di invertire la tendenza su aspetti insostenibili dell’attuale assetto economico. Ad esempio, il sistema degli approvvigionamenti è insostenibile, per cui ci sarà una tendenza a cambiarli, così questa crisi impone agli stati di impegnarsi di più sul welfare con nuovi servizi e nuove strutture. Anche sul fronte della digitalizzazione potrebbe registrarsi un forte impulso attraverso, ad esempio, la moneta digitale o i sistemi di contact raising, ma anche nel campo della ricerca scientifica data la necessità di kit diagnostici economici. Questa congiuntura che, in un primo momento, ha bloccato anche la creazione dell’area di libero scambio, potrebbe portare al superamento dell’empasse.

Rossella Miccio, nel suo secondo intervento, ha ripreso la proposta del direttore dell’Aics di Khartoum Racalbuto, di creare un corridoio di approvvigionamento privilegiato per l’Africa, dal momento che la scarsità di materiali aggrava anche le disuguaglianze, impedendo di fatto la protezione individuale e diagnostica alle popolazioni africane in attesa del vaccino. Sarebbe utile sfruttare questo momento di vulnerabilità globale e di sviluppo tecnologico per creare una piattaforma di condivisione di best practice con i Paesi africani in un’ottica di salute complessiva e non solo focalizzata sul covid. Serve però anche un forte investimento nella formazione.

Silvia Stilli, portavoce Aoi, ha tirato le somme della giornata sottolineando la necessità di mettere a sistema i tanti strumenti a disposizione dell’Italia in questo momento come i fondi che arriveranno dall’Europa, la prossima presidenza del G20 e la forte partnership, per ampliare lo sguardo, a partire dalla centralità della salute, anche all’Asia e all’Amazzonia. Ha poi evidenziato i temi emersi con forza dai vari interventi: dalla formazione alla ricerca, a un concetto forte di salute pubblica ma anche centralità delle comunità in termini di diritti alla salute e di protezione ambientale. E proprio in merito al coinvolgimento della società civile in relazione alle comunità ha posto l’accento sul ruolo della cooperazione come la cosiddetta “diplomazia popolare”.

 

di Elita Viola

Martedì 06 Ottobre 2020